Sono nata tipo mezzo secolo fa a Torino, dove ho vissuto fino al 1990, convinta che la mia storia fosse già scritta. Approdata a Roma fresca di studi giuridici ho capito che volevo fare altro. Dopo dieci anni da giornalista e comunicatore pubblico e strategico sono capitata in Calabria per lavoro, ma non sapevo che la punta dello stivale mi avrebbe rivoluzionato la vita per quasi vent’anni, facendomi scoprire narratrice ed editore. Ora sono finalmente tornata a Roma, la mia città. Continuo a osservare, annusare, respirare. Per capire.

Meno di dieci righe che sintizzano il mio mezzo secolo vissutoprima della pandemia. Ho scritto anche quelle che seguono – molte di più – prima che #covid19 immergesse tutti in una distopia ben peggiore delle tante ingurgitate con i romanzi, i film e le serie tv che ho tanto amato. Erano là per permettermi di capire dove stavo andando, non dimenticando mai dove sono già stata.
Ma il resto è tutto da riscrivere. Con nuovi linguaggi.

Sono nata a Torino, non proprio recentemente: il 26 novembre 1967.
Ho vissuto più di quanto mi resti da vivere.

Ho lasciato il mio Piemonte decenni fa. La prima passione, il giornalismo, mi ha portata a Roma. Ho lavorato in diverse redazioni, poi mi sono trovata, quasi senza accorgermene, dall’altra parte della barricata. I giornali nazionali (ed alcuni scalpitanti e sconosciuti capiservizio di allora, oggi direttori fissi davanti alla telecamera di turno) mi stavano stretti [o forse stavano stretti, a loro, i miei pezzi di inchieste politiche e parlamentari]. Ho fatto il portavoce, il capo ufficio stampa e il referente di RP di Ministri ed Istituzioni molto prima che la legge 150 del 2000 ne stabilisse i contorni. La capitale è diventata presto una scelta definitiva: il miglior luogo dove esplorare il complicato universo della comunicazione. Dal giornalismo alla comunicazione istituzionale, passando per le relazioni pubbliche, l’organizzazione eventi, il marketing e la comunicazione integrata, con una particolare attenzione per le risorse umane e la formazione: per moltissimo tempo non mi sono fermata, alla spasmodica ricerca degli strumenti giusti. Ho pubblicato qualche testo scientifico, ho imparato molto insegnando il poco, pochissimo che so. E continuo a scrivere.

La seconda passione è un virus, una malattia inguaribile che quando ti prende non ti lascia più. Puoi pensare di essertene liberata, ma è sempre lì in agguato, pronta a colpire quando meno te lo aspetti. L’ho scoperta sui banchi di scuola. Ho imparato ad apprezzarla poco a poco. L’ho amata in modo incondizionato quando ho creduto di trovarla nelle stanze dei bottoni della Prima Repubblica. Ma la politica è degenerata fino alla pantomima che nulla ha che fare con il pensiero moderno, né con quello antico. Eppure, come un herpes pronto a fiorirti sulle labbra, ha continuato a prendersi gioco di me. Anche quando ho deciso di dedicarmi alla comunicazione integrata per aziende private, ed ho iniziato a girare l’Italia e l’Europa per lavoro. Accorgendomi di fare molta più politica così che inseguendo partiti e policanti.

Giornalismo e politica, prima e seconda passione, hanno continuato a intrecciarsi nella mia vita. Portandomi, a gennaio 2000, in Calabria. Dove ho trovato la terza passione: una terra dalle immense contraddizioni, eppure vera come non mai. Ho lavorato accaventiquattro nella mia Calafrica fino a dicembre 2007, occupandomi di comunicazione istituzionale all’interno di vari enti locali.

Nel 2008 mi sono dovuta fermare. Avevo bisogno di buttare fuori quanto accumulato in quel tempo sospeso nella punta dello stivale. Il frutto di questo necessario outing è ius sanguinis, mio romanzo di esordio, nato come tributo a due simboli purissimi della Calabria pulita e trasparente: Federica Monteleone e Gianluca Congiusta. Pubblicato a marzo 2009 da Città del Sole Ed., è andato in ristampa nel 2010.
Cammina di vita propria da quando, il 18 dicembre 2010, la condanna in primo grado degli assassini di Luca ha seguito di pochi mesi quella degli assassini di Fede, il 22 luglio, restituendo un sapore lontano di giustizia.

Con ‘ndranghetown, fanta-noir scritto nell’estate 2010 per l’editore Agenzia X, uscito a marzo 2011 come apertura della nuova collana di noir INCHIOSTRO ROSSO, ho sperimentato un nuovo modo di liberarmi dei miei mostri e delle mie paure, esplorando un futuro possibile totalmente controllato dalla criminalità organizzata.
Un futuro che ho raccontato da una precisa coordinata spazio temporale, al centro dello Stretto, su un ponte già vecchio e come sempre inutile. Un futuro in cui la natura risolve ciò che l’uomo non è riuscito a risolvere. 

“La speranza ha due figli bellissimi: lo sdegno per le cose come sono e il coraggio per cambiarle”, diceva Sant’Agostino. Sono certa di condividere con la speranza quel primo figlio belissimo. Lo mantengo vivo e vigile da anni. Credo di aver trovato il secondo figlio in uno strumento molto banale, ma troppo spesso dimenticato: l’ascolto. Che è comunicazione. Che è partecipazione. Che è, soprattutto, condivisione.

Condividere.
Condividere emozioni: che altro significato ha scrivere?
A settembre 2011, sentendo forte la mancanza di spazi per la condivisione, l’ennesima sfida: una casa editrice. In controtendenza. In un momento in cui il mercato si chiude, noi apriamo. Con pochi ma ottimi folli come me, abbiamo creato sabbiarossa. Un piccolo grande spazio a disposizione di voci che vogliano rompere l’indifferenza. Voci libere. Voci per raccontare, per condividere.

La terza uscita di narrativa, bianco come la vaniglia, è di ottobre 2011, collana STORIE, per i tipi, quasi superfluo dirlo, di sabbiarossa.
Un romanzo dolce e amaro. L’ultimo del genere, almeno per adesso: troppo mi è costato sentire dentro le viscere il dolore e la rabbia che ho voluto raccontare. Anche da quando è libro continua ad essere, prima ancora, una nuova lama nell’impotenza che mi stringe la gola.

Ma il bisogno di scrivere ha continuato a essere urgente. Impossibile lasciarlo insoddisfatto.
Così, mentre svezzavamo la neonata casa editrice, Alessandro Russo e io abbiamo dato forma a un pensiero che ci batte in testa da sempre. Come la rabbia per non poterlo far uscire dai confini regionali.
In Calabria esiste la buonavita. Semplicemente, nessuno si è mai preoccupato di raccontarla. Usando una metafora, la Calabria è un mare immenso e limpido, al cui interno vive una piovra, che sputa ovunque il suo inchiostro. E sembra che il mare sia inchiostro. Sembra che i neri e i grigi intorno alla piovra siano gli unici colori degni di rappresentare questa terra.

Noi amiamo il mare. Amiamo la Calabria.
Volevamo raccontarla lontana dalla piovra, che pur esiste e vive in questo e di questo mare.

Il nostro racconto è diventato un viaggio senza targa, lontano da quella frase così ricorrente in questa terra: “cu apparteni?” [a chi appartieni? con chi stai?].

Uscito a luglio 2012, collana RIFLESSIONI, è un racconto che – attraverso i nostri dodici apostoli, dodici “portatori sani” dell’esempio di buona vita, dodici persone che ogni giorno combattono, in silenzio e lontani dai riflettori, la malavita – ha l’obiettivo di restituire alla Calabria la dignità e l’orgoglio della maggioranza dei suoi abitanti. Che non sono ‘ndrangheta. Che non sono “contiguità colpevole”. Che hanno il profumo del mare e la luce del sole in cui è immersa la nostra Calabria.

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Come ogni viaggio, anche quello senza targa era destinato a creare nuovi percorsi. A lasciare nuove IMPRONTE. Condividendo, ancora. Creando sinergie.

È nato così la ‘ndrangheta davanti all’altare, libro-inchiesta uscito a luglio 2013 [collana IMPRONTE, sabbiarossa ED] e scritto a dieci mani, con Romina Arena, Francesca Chirico, Cristina Riso e Alessandro Russo. Un titolo importante, il primo in cui si analizzano, senza sconti, le commistioni tra Chiesa e ‘ndrangheta. Con un sottotitolo che parla da solo: “la Chiesa che resiste, la Chiesa che si volta dall’altra parte”. E con una narrazione inserita nei dieci comandamenti, in cui si incasellano i tanti, troppi esempi di commistione. Ma anche gli esempi positivi.

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Infine torna sempre quell’urgenza. La narrativa. Ho scritto il mio quarto romanzo.

Un’altra espulsione, che prosegue un discorso iniziato tanto tempo fa. Un modo diverso per raccontare tutto ciò che non mi piace, tutto ciò contro cui combatto. Non so se è per la solita ragione, quella che porta ad amare particolarmente l’ultimo nato. Non so se è perché avevo bisogno di raccontare il mio mondo, quello giornalistico, risvelandone i risvolti più negativi. Fatto sta che amo in modo viscerale carta vetrata [collana STORIE, sabbiarossa Ed, novembre 2013].

A inizio novembre 2013 ho iniziato con la sperimentazione di un nuovo media: la radio. Anni di ossi di seppia, esperimento portato avanti con Marisa Larosa sulle fm di Radio Touring 104. Pieno e divertente, fino a che siamo andate in onda, lunedì sera dopo lunedì sera, con storie positive da raccontare e far crescere, partendo dall’assunto montaliano di Non chiederci la parola“codesto solo possiamo dirti/ ciò che non siamo/ ciò che non vogliamo”. Gli esperimenti portano a nuovi esperimenti. Ho creduto e lavorato (da direttore di rete,  autore, conduttore, sperimentatore, quando serviva anche da colf) a un progetto di network allargato. Sono nati programmi televisivi che hanno avuto molto seguito e mi hanno dato grandi soddisfazioni: aM#CALABRIAoltre la notizia, YOUtouring. Ho archiviato questa esperienza a fine 2015, quando è stato evidente che la mia vision, il mio orizzonte, erano agli antipodi di vision e orizzonti dell’editore.

Con l’estate 2014 sono iniziati gli eventi. Una nuova narrazione delle realtà positive della Calabria, incroci urgenti e necessari. Scilla in passerella, poi SeaTouring, e tante altre rassegne per accendere le luci su ciò che vale la pena di raccontare. Comunicare è diventato ancora di più un imperativo assoluto: sabbiarossa.com ha assunto l’identità attuale, diventando un modo di costruire, in squadra, strategie adeguate ed efficaci. Lo storytelling continua, in ogni forma possibile, perché non si può non comunicare.

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E neppure riesco a smettere di scrivere.

A ottobre 2015 la quinta uscita di narrativa, Faceboom: 18 vite incatenate ai tempi dei social network, per interrogarmi su questa società in cui la rappresentazione della propria vita sembra essere diventata molto più importante del viverla. Un nuovo punto nel percorso di ricerca tramite la scrittura. Un nuovo modo per condividere domande e cercare insieme, se ci sono, risposte.

Con il 2016 il lavoro strategico di comunicazione è tornato preponderante nella mia vita e in quella di sabbiarossa. L’editoria ha lasciato sempre più spazio alle attività che abbiamo sintetizzato un’immagine: la costruzione di bussole per aiutare progetti, aziende, persone, a trovare e raggiungere un orizzonte. Perché la speranza (di farcela, in questo mondo vasto e confuso della comunicazione) non è una strategia. Tutto il resto sì.

Dimenticavo.
Qualcuno mi chiede dove vivo. Talvolta me lo chiedo anche io, soprattutto quando svegliandomi di notte non riconosco la stanza né il luogo dove mi trovo. Questione di un attimo, ma fa partire in automatico la domanda. Un’amica dice che in realtà vivo in auto. Forse è vero: vivo viaggiando. Vivo perché viaggio in continuazione, senza fermarmi. Anche quando lo sono, ferma. 
Eppure sto cercando di diventare più stanziale. Sto cercando di ridurre le mie dimore abituali a due. Roma, la mia città “per scelta”, e Reggio Calabria, punta estrema della mia “terra d’a(do)zione”. In mezzo c’è sempre Torino. La mia Torino, le mie Alpi, le mie Langhe.
E vorrei ci fosse un po’ di Liguria, un po’ di Sicilia. E di Salento, ma anche di Cilento. E di Umbria. E di Triveneto, a partire dalla misteriosa Trieste. E di Toscana, di Emilia, di Romagna. Ma anche di Marche. Di Puglia. E di Sardegna. E di ciascuna delle regioni che sono la mia terra. E la vostra. Questa nostra Italia.

[paola.bottero at sabbiarossa.it]
Guardando la costiera amalfitana, 1 gennaio 2018